Parabola

Quando incrocio questa parabola non posso fare a meno di commuovermi.

Credo e sono certo che Madre Teresa di Calcutta, non abbia mai avuto paura di essere contagiata dal covid, dato che era consapevole di vedere in questi ultimi il Maestro.

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?  Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?  Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.  Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via,lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.  Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;  ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.  Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?  Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me.  E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

Madre Teresa di Calcutta ha avuto la fortuna di incontrare il Maestro ogni momento della sua vita RICONOSCENDOLO 

Il cibo come cultura

Massimo Montanari è docente di Storia Medioevale e di Storia dell’Alimentazione presso l’Università di Bologna ed è considerato uno dei maggiori esperti mondiali in queste due discipline. Le sue competenze di storico medioevalista sono ben evidenti all’interno delle storie e delle considerazioni sulla gastronomia che il libro propone, ma come dice lui stesso “sono svolte in modo libero con sconfinamenti in altri ambienti disciplinari” come ad esempio nella sociologia e nell’antropologia; il cibo è cultura quando si produce, quando si prepara, quando si consuma perché ha inventato e trasformato il mondo diventando un frutto della nostra identità.

“Cuocere il pane, conservare la frutta, apparecchiare la tavola. Ogni atto legato al cibo porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa”. Con queste parole tratte dalla quarta di copertina si presenta al suo lettore il nuovo libro di Massimo Montanari dal titolo :”Il cibo come cultura”.
Il volume prende spunto dalla contrapposizione tra cibo e natura e si pone il problema di come l’uomo sia l’unico animale in natura che non consuma il cibo come gli si presenta davanti in natura, ma al contrario lo modifica, lo trasforma a seconda delle sue esigenze, delle sue preferenze, della sua identità.
Ecco che allora il cibo da elemento della natura diventa elemento della cultura in quanto inventa e trasforma il mondo.

Un piatto di spaghetti al pomodoro non è solo un cibo, ma è il simbolo dell’identità culturale di un paese. E’ l’unione tra la tecnologia produttiva di un alimento nata nella Sicilia Araba unita ad un prodotto americano importato in Europa dai conquistatori spagnoli. Come descrive l’autore stesso nelle pagine dell’introduzione “il cibo è quindi cultura quando si produce perché l’uomo ambisce a creare il proprio cibo, il cibo è cultura quando si prepara perché una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione l’uomo li trasforma mediante la sua tecnologia, il cibo è cultura quando si consuma perché l’uomo lo sceglie con criteri legati sia alla dimensione nutrizionale, sia a valori simbolici”.
Da questa triplice valenza del cibo come strumento per esprimere e comunicare la propria cultura nascono le prime tre sezioni delle quattro in cui il libro si compone. Nella prima parte dal titolo “Costruire il proprio cibo” l’autore contrappone natura e cultura, analizza l’intervento dell’uomo sulla natura. Nella seconda sezione è descritta la preparazione del cibo e la cucina è quindi la naturale protagonista con una serie di aneddoti storici su cucina scritta ed orale, sulle differenze tra arrosto e bollito, sulle pratiche culinarie che rendono migliori i cibi sia nel gusto che nella sicurezza alimentare. La terza parte dal titolo “Il piacere della scelta” chiude questo triplice aspetto del cibo come frutto della nostra identità e ci introduce alla quarta ed ultima sezione dedicata al cibo come linguaggio. Qui l’autore ci parla di come la tavola può diventare luogo di scambio culturale frutto dell’incontro e dello scambio di uomini, materie prime e tecniche.

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